Standing Rock arriva a Washington

Deegan-Standing-RockNel pomeriggio di venerdì 9 marzo i prati davanti alla Casa Bianca sono stati occupate per tutto il pomeriggio da migliaia di persone che partecipavano alla “Native Nations March on DC”, un corteo formato da diverse tribù pellerossa e capeggiato da quella dei Sioux di Standing Rock, che aveva preso il via la mattina dalla sede del Genio Civile. Nei giorni precedenti, i manifestanti si erano accampati con tende davanti al National Mall. Al termine della manifestazione, che ha fatto un percorso di circa tre chilometri, Dave Archambault, rappresentante della tribù Sioux Standing Rock, contro la decisione dell’amministrazione Trump di sbloccare gli oleodotti che passeranno nelle loro terre (e che ha portato lo scorso 23 febbraio al violento sgombero del principale accampamento dei Water Resisters) ha dichiarato: “abbiamo marciato contro l’ingiustizia e continueremo la nostra protesta pacifica. Le popolazioni indigene non possono sempre essere messe da parte a vantaggio degli interessi aziendali o dei capricci del governo”. Contemporaneamente alla marcia di Washington, decine di presidi, cortei e manifestazioni solidali si tenevano in altrettante città del Canada e degli Stati Uniti.

Dopo lo sgombero del Sacred Spirit Camp, gli attivisti nativi e “solidali” che da settembre erano riusciti a bloccare fisicamente la costruzione del Dakota Access Pipeline hanno deciso di portare la loro battaglia contro la costruzione dell’oleodotto in Nord Dakota a Washington. Mentre a Standing Rock si stanno organizzando altri accampamenti di resistenza e di protesta, continua anche la campagna di pressing sulle banche che finanziano l’oleodotto Dakota Access (in totale 17 fra cui Intesa Sanpaolo), affinché spingano per cambiare il percorso dell’infrastruttura in modo che non passi più sulle terre dei Sioux. Il successo della campagna sembra essere testimoniato anche da una lettera “riservata” e pubblicata lo scorso 28 febbraio dal Financial Times, in cui un gruppo di 120 investitori, fra i quali il fondo pensione della California Calpers (che vale 300 miliardi di dollari), si sono rivolti alle banche finanziatrici citando i ‘rischi’ per la reputazione degli istituti finanziari “se non saranno affrontati e risolti i timori sull’oleodotto, che continua a dividere l’America”.

I numeri della campagna “Defund DAPL”, con i risparmiatori che hanno i loro soldi nelle banche che finanziano il progetto e che chiudono i loro conti, sono in effetti impressionanti. Fino ad ora sono stati ritirati dalle banche “incriminate” quasi 80 milioni di dollari, di cui 75 provengono da risparmiatori privati e 4 da 7 amministrazioni cittadine costrette a questa scelta dalle pressioni di gruppi locali di solidarietà con la resistenza di Standing Rock. Come dicono in Valsusa, ormai da tanti anni, a chi non riesce a piegare la resistenza No Tav, “sarà dura”. “Sarà dura” anche nelle praterie del North Dakota per Trump e i suoi accoliti…

Robertino

 

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